Dal corriere dello sport
Sandro si guardò intorno. Nebbia e macchine, andatura distratta da inverno lombardo, nessun giornalista in vista. Per fare impressione sull’ospite, tentò il bluff.
«Seguivamo Platini da tempo. Nel febbraio 1978, Michel arrivò di nascosto a Milano per la firma del precontratto. Dovevamo fare scena per forza, soldi ne avevamo pochi ma mostrarlo non sarebbe stato saggio. Così, senza titubare, portai il ragazzo a casa Fraizzoli, una reggia nella parte più ricca della città».
Quadri di Giotto e Raffaello, candelabri d’oro e trumò in mogano. Li ricevettero Ivanoe e la moglie Renata. «Fraizzoli chiamò la cameriera: Ci porti 4 Crodini», Renata alzò il sopracciglio.
«Ma caro, non sai che i francesi bevono solo champagne?». Il presidente raggelò per poi piegarsi. «Sì certo, altrimenti Sandrino si arrabbia». Dalla cantina arrivò una bottiglia stagionata.
«Aveva almeno dieci anni. La facemmo aprire a Michel, quando il tappo saltò, fece un rumore sordo. Puf» . Come un sogno evaporato, un affare mancato, un sogno sfumato...
«Che Platini fosse un campione, l’avevo capito in 5 minuti. Carisma unico, piedi fatati e serietà. Si respirava un’aria favorevole all’apertura delle frontiere. Noi l’avremmo preso per 80 milioni, riconoscendogli un ingaggio di 250 a stagione. Con la sua società Michel aveva ancora un anno di contratto, i dirigenti volevano aumentargli lo stipendio per alzare il parametro in vista di una cessione. Suggerimmo a Michel di non cadere nel tranello: avremmo provveduto noi a versargli i soldi mancanti nell’attesa della fine dell’embargo.
Organizzavamo le amichevoli all’estero e invece di riportare il denaro in Italia, tramite giri avventurosi attraverso l’Europa, finivamo per depositarli in un conto parigino a nome di Platini. Dopo un anno, Fraizzoli, che era ligio, quadrato e regolare, si stancò del tran tran ai limiti della legge e perdemmo l’attimo. Quando incontro Platini, ancora mi prende in giro: Mi devi dei soldi Sandro, non dimenticarlo...»
Le Roi visitò anche Appiano.
«Lo portai in sede. Sul campo incontrammo Bersellini e il suo vice Onesti. Quando l’allenatore ci vide in lontananza, mi scrutò a lungo. Poi, ad allenamento finito, si avvicinò. “Sandro, sarà mica un nuovo acquisto, il ragazzo che ho visto”. “No mister, non si preoccupi”. “Ragazzi, così non va. Mi portate sempre della gente impresentabile. Questo ha il sedere da sposa e i piedi piatti”».
Due giorni dopo a Napoli, si giocò Italia-Francia. Platini segnò a Zoff su punizione.
A casa Mazzola, il telefono non si fece attendere. «Bersellini chiamò subito: “ Sandro, quello che ha fatto gol mi sembra di conoscerlo. Anche se ha il sedere da sposa e i piedi piatti, mi pare li sappia usare».
Dal vecchio televisore appoggiato sopra il bancone dei liquori, il figlio di Valentino dirigeva l’orchestra.
Al bar sport di Jouef, Sandro Mazzola era un’istituzione. Michel aveva visto la grande Inter da bambino, nella bottega di famiglia.
Quando se lo trovò di fronte, rimase in silenzio. «Ero un suo idolo. Sa qual è il rimpianto più grande? Aver convinto a firmare per l’Inter giocatori scoperti molto prima degli altri. Ancelotti, Falcao, Platini. Fraizzoli era in gamba ma aveva consiglieri fidati che purtroppo lavoravano anche per Juve e Roma. Lo frenava la moglie? Tutt’altro, fosse stato per lei, avremmo comprato chiunque...».