«Stardom» è l'etichetta che accompagna il sogno americano di Marco Belinelli, gliel'ha attaccata sulla pelle Don Nelson, in suo coach, ed è stata spesa, nel mondo Nba, solo per pochi eletti. Significa che il ragazzo ha talento e i crismi per dominare il gioco. Significa che da grande può fare il campione.
È iniziata così l'avventura californiana del «cinno» bolognese, volato negli States e subito a Laie, isola di Oahu, Hawaii, dove la sua squadra è in ritiro. Sembrano lontanissime le luci di New York City, dove una notte di fine giugno i Golden State Warriors lo scelsero aprendogli le dorate porte Nba.
Ora, finalmente, si suda, e si studiano le mille pagine di schemi d'attacco. Fuori, le palme arse dal sole e l'aria del Pacifico accompagnano le prime sgambate, fra casette colorate, flora tropicale e fauna hollywoodiana. Sembra un film. Dentro, lo è davvero. A ventun'anni, Beli è catapultato — famiglia compresa — in un altro mondo. Dove si viaggia solo con l'aereo privato del club, mica col pulmino Cosepuri, dove una media session, il tempo che per regolamento gli atleti dedicano ai giornalisti, è interminabile. E lui, «sleepy-eyed italian rookie», com'è descritto dall'Oakland Tribune per via di quello sguardo che sembra addormentato, li ha già messi in riga.
«Io sono soprattutto un tiratore di striscia, che quando entra in ritmo è difficile da fermare. Come Kobe Bryant. Anzi, non vedo l'ora di giocare contro di lui e sfidarlo». Come se un giovane attaccante americano venisse qui e dicesse di volerne fare uno in più di Totti. Piace alla gente di San Francisco, un po' perché in lui credono Nelson e Mullin, due santoni, un po' perché il ragazzo ha dimostrato di saperci fare. Era solo la Summer League, appuntamento dove si difende meno che al torneo dei bar, ma l'esordio da 37 punti non è passato inosservato. Ancora, Beli bada a dire: «Voglio dimostrare qualcosa. Mi piace tirare in qualsiasi contesto, sugli scarichi, in contropiede, in uscita dai blocchi».
L'ascolta una platea di reporters, decani della palla a spicchi americana, arrivati per incontrarlo. «Io qui ci posso stare, so di poter giocare. Tirare e fare canestro è sempre stato il mio lavoro». Di rimando Nelson detto Nellie in Usa, proprio come Beli in Italia che l'ha paragonato al «dio» Drazen Petrovic, se lo coccola: «Abbiamo giocatori che meglio s'adattano alla nostra pallacanestro. Beli è super, ha un raggio di tiro illimitato e tira cadendo indietro anche da tre. È instoppabile ».
Perplesso, sta in disparte Monta Ellis, veterano Nba, preso per fare quello che farà Belinelli, mentre lui starà a guardare. Questo dicono gli analisti che hanno dibattuto sul tema, inserendo il nostro fra i dieci argomenti caldi del momento. A sentir Nelson, è Beli che giocherà, nonostante sia un rookie vessato dalle restrittivo nonnismo dello spogliatoio. Baron Davis, che ai Warriors ha potere temporale e spirituale, nega alle matricole di viaggiare in prima classe. Ma Davis, Beli l'ha già adottato. Alle Hawaii, l'allenamento non si chiude senza una gara di tiro da metà campo con il «fenomeno » italiano. Ultimo score, 4-3 per Davis. Beli è già lì, fiato sul collo ai migliori.
Daniele Labanti
«sleepy-eyed italian rookie»


P.s. ho postato qua l'articolo per non aprire una nuova topic
