Il secondo accoppiamento dell'Est vede confrontarsi gli Orlando Magic, finalisti dell'anno scorso, e gli Charlotte Bobcats, alla prima apparizione ai playoff della loro (breve) storia. Visto così sembrerebbe il più classico degli sweep tra uomini e bambini, ma i Bobcats hanno dalla loro parte uno dei migliori allenatori della storia della NBA ed il discreto carisma del nuovo proprietario della franchigia, tale Michael Jordan.

Rassettando un po' gli appunti delle partite dell'anno scorso, ne ho trovato uno di particolare interesse, risalente alle Finals: «Ma i Magic senza Turkoglu come faranno l'anno prossimo?». Arrivati al fatidico 'anno prossimo', Orlando non solo ha raggiunto il secondo miglior record della NBA, ma pare addirittura più solida rispetto a quella che si affacciava al primo turno contro Philadelphia un anno fa. Pur cambiando 3/5 dello starting five che li ha portati in Finale, Stan Van Gundy è riuscito a sopperire alle partenze dei vari Alston, Lee ed il già citato Turko con il ritorno di Nelson, Vince Carter e Matt Barnes, con risultati identici.
A livello tattico i Magic sono rimasti sostanzialmente invariati, ovvero un incubo per chiunque: la combinazione Howard-batteria di tiratori è inarrestabile se trova ritmo e percentuali decenti, e se qualcuno aveva dei dubbi sulla possibilità che reggesse anche in post-season c'è la cavalcata dell'anno scorso a smentirlo. Ovviamente, come qualsiasi jump-shooting team, sono legati a doppio filo alle proprie percentuali, ma hanno la possibilità di far ruotare molti tiratori alla ricerca di quello in serata giusta, tra gente del calibro di Nelson, Carter, Barnes, Redick, Pietrus, Lewis e Anderson.
Le stelle della squadra sono rimaste le stesse, pur con un peggioramento generale in termini di punti: Dwight Howard si è confermato il miglior rimbalzista e stoppatore della NBA per il secondo anno di fila, diminuendo però il proprio bottino di due punti di media e tirando i liberi con il solito, orrendo 59%; Rashard Lewis ha iniziato la stagione in ritardo a causa di una sospensione di dieci partite per assunzione di sostanze proibite, ed è chiamato a riscattare una stagione deludente (solo 14.1 ppg, minimo dal 99-2000) legittimando i tantissimi dollari che gli vengono girati ad ogni fine del mese; Vince Carter, pur con qualche problema iniziale, si è inserito bene nel telaio di Van Gundy ed è il go-to-guy designato per i finali di partita (ma ne è ancora capace?); Jameer Nelson ha visto anch'egli diminuire di molto le proprie cifre (-4.1 ppg in RS), ma è un giocatore di carattere che può sempre dire la sua in questo contesto.
Il supporting cast è ciò che mi convince di più di questa squadra: Williams, Redick, Pietrus, Anderson, Bass e Gortat sono delle signore riserve per una squadra di questo tipo e porteranno il loro mattoncino alla causa quando verranno chiamati in causa, rendendo i Magic una delle squadre più profonde e difficili da affrontare della NBA.
Il dubbio è se Carter riuscirà a mettere i tiri che l'anno scorso il Turko metteva con mefistofelica semplicità...

Dici 'Charlotte Bobcats', ma leggi 'ennesimo capolavoro di Larry Brown': con questi playoff diventano otto le franchigie che il coach è riuscito a portare nella post-season e probabilmente nessun altro sarebbe stato capace di raggiungere questo risultato con questa squadra. I Bobcats giocano il più classico dei 'play the right way', con tre giocatori molto simili e dal ruolo incerto che formano l'ossatura della squadra: Stephen Jackson, Gerald Wallace e Boris Diaw.
Il primo è arrivato in Novembre dalla gabbia di matti di Golden State ed ha preso subito in mano le redini della squadra, diventandone molto spesso l'attaccante di riferimento e raggiungendo il massimo di punti in carriera (21.1 da quando è ai Bobcats). Gerald Wallace ha prodotto anch'egli la miglior stagione della carriera, con 18,2 ppg conditi da ben 10 rimbalzi di media, che per un'ala di 2 metri sono un'enormità; puntualmente e giustamente è arrivata la convocazione per l'All Star Game, e se c'è un giocatore che deve ringraziare coach Brown quello è proprio il buon Geraldo. A chiudere il terzetto dei sogni è Boris Diaw, giocatore spesso indecifrabile ed umorale, ma che è fatto apposta per giocare uno stile di pallacanestro come quello predicato dal coach campione nel 2004 con Detroit, potendo ricoprire indifferentemente tutti e cinque i ruoli del quintetto, grazie alle doti di passatore (meravigliose) e di difesa in post.
Le rotazioni di Brown sono, come spesso accade, impronosticabili, visto che è un attimo il passare dal quintetto alla 'cuccia' dell'allenatore anche per mesi. Gli altri due starter comunque saranno il play Raymond Felton ed il centro veterano Theo Ratliff, con D.J. Augustin, Larry Hughes (sì, proprio quello visto con Gallinari a New York), Tyrus Thomas, Tyson Chandler e Nazr Mohammed ad uscire dalla panchina. Ma non fidatevi troppo, al primo errore potrebbero essere tutti pinati per il resto della post-season (!).
In conclusione è impossibile non parlare di Michael Jordan: il 23 durante la stagione è diventato il proprietario dei Bobcats ed è atteso ai primi playoff in carriera dopo tanti, troppi errori in sede di Draft soprattutto (do you remember Adam Morrison #3?). Per lui comunque è una bella soddisfazione aver portato per la prima volta la franchigia del suo Stato tra le migliori 16 della NBA, sperando che il futuro sia un po' più benevolo con le sue scelte e che la città risponda al richiamo del suo carisma e playoff NBA (l'arena è quasi sempre mezza vuota...).
Gli Charlotte Bobcats sono una squadra che ama abbassare i ritmi e giocare a metà campo, con possessi al limite dei 24 secondi e controllo dei tabelloni; la controindicazione è che incappano in tanti, troppi turnover (15.7, secondi solo a Minnesota in questa statistica) per una squadra che gioca sotto i 100 punti, e ciò è probabilmente riconducibile a due playmaker, Felton e Augustin, che si trovano più a loro agio nel correre in contropiede piuttosto che pensare e gestire il pallone.
Sfortunatamente per loro i Magic sono una squadra che si può adattare bene anche ai ritmi bassi grazie alla combinazione inside-outside che li contraddistingue, oltre ad una buonissima difesa.
Tra i matchup sarà interessante vedere come Van Gundy gestirà Barnes e Pietrus, che sono i migliori difensori sul perimetro ed avranno le mani piene con Jackson, Diaw e Wallace: quello che rimane sarà affidato a Carter o a Lewis, creando un probabile mismatch.
Su Howard invece ci sarà la più classica delle staffette: Ratliff, Chandler, Mohammed e forse Thomas significano 24 falli disponibili da spendere su Superman per mandarlo in lunetta, con il solo Chandler che probabilmente si risparmierà qualche fischio per concludere la partita (dove in ogni caso DH12 non è pericoloso perché non viene coinvolto). Come al solito occhio a Lewis, anche se con Wallace dovrebbe risultare meno determinante dell'anno passato, e a Tyrus Thomas, che ha la schiacciata e/o la stoppata sempre pronta: il casino è capire quando la farà.
Nelson (Williams) → Felton (Augustin)
Carter (Redick) → Jackson (Hughes)
Barnes (Pietrus) → Diaw (Wallace)
Lewis (Anderson – Bass) → Wallace (Thomas)
Howard (Gortat) → Ratliff (Chandler – Mohammed)
Per Charlotte è già un ottimo risultato essere arrivati a questo punto, peccato aver incontrato una squadra che è talmente profonda da avere molte contromosse giuste per metterli in difficoltà. La loro unica speranza è che Brown sovrasti tatticamente Van Gundy con qualche invenzione e trasmetta il sacro fuoco ai suoi giocatori, ma alla fine i Magic dovrebbero averne ragione in cinque partite.