ROMA - È rimasto per ore sotto l'ombrellone, sulla spiaggia di Ostia. Coperto da un telo verde, guardato a vista da tre poliziotti. Tutt'attorno, la gente non si è mossa dai lettini. Ha continuato a prendere il sole, a chiacchierare, a commentare quello che era successo. In molti hanno perfino fatto il bagno a pochi metri da quel lenzuolo che proteggeva dagli sguardi il corpo senza vita di Nicola Bangi, 67 anni: si era tuffato, si è sentito male - forse a causa del caldo torrido o di una congestione - e nessuno era riuscito a salvarlo.
Un nuovo caso di indifferenza su una spiaggia affollata dai bagnanti. Mentre la moglie e la figlia del sessantenne, testimoni della tragedia, erano state appena accompagnate in ospedale, sotto choc, la vita tra ombrelloni e sdraio è andata avanti come se nulla fosse. Le fotografie descrivono molto meglio di tante parole la scena: gli agenti, accorsi inutilmente insieme agli infermieri di un'ambulanza, controllano la situazione in attesa dell'arrivo della Mortuaria. Ma loro, i pendolari della domenica in cerca di un po' di fresco lontani dalla canicola della città, rimangono lì a guardare la risacca, a leggere, a discutere. Mentre passano i minuti, le ore. E il corpo di Bangi è a pochi metri da loro.
La cronaca della tragedia è come quella di tante altre, cambia solo il contesto. Era stato uno dei bagnini in servizio sulla spiaggia libera attrezzata del lungomare Duca degli Abruzzi il primo a tuffarsi per soccorrere il sessantenne in difficoltà, che era già scomparso sott'acqua. È stato lui a raggiungerlo e a trascinarlo a riva. «Ha avuto un malore mentre faceva il bagno ed è morto per annegamento», spiegano gli investigatori, che ora vogliono ricostruire l'accaduto. Ma quei poliziotti accanto al corpo immobile, freddo, non hanno nulla da ricostruire: quella scena della spiaggia piena di vita è ben impressa nelle loro menti.
Per la stagione balneare laziale è l'ennesimo dramma, questa volta acuito dall'indifferenza: dall'inizio di luglio sono 15 le persone annegate fra Civitavecchia e Anzio e nei laghi vicino Roma.
Rinaldo Frignani
22 agosto 2011 09:33
Corriere.it
NAPOLI - C’è un ombrellone rovesciato sulla battigia sotto il quale è adagiato il cadavere di un uomo interamente coperto da un lenzuolo e da un asciugamano. A un paio di metri, una borsa e una sedia da bar vuota. Siamo sulla cosiddetta Mappatella Beach, pieno lungomare di Napoli, su via Caracciolo, dove ai napoletani piace fare il pic nic.
Quel che è successo, si può anche raccontare dopo, ma sono le fotografie a colpire per prime. Intorno al corpo senza vita, c’è una spiaggia estiva moderatamente affollata: una donna dalla schiena abbondante di pieghe che spalma la crema sulle spalle di una signora con cappellino bianco, un gruppetto di uomini che sembra chiacchierare le mani incrociate sul dorso, chi continua a prendere la tintarella, chi si sistema sulla sdraio, chi stende il suo telo sulla sabbia, chi si bagna i piedi, chi legge, un ragazzino che corre a tuffarsi nel mare calmissimo. C’è anche un cane accucciato dietro una sedia. Agghiacciante normalità da solleone. Normalità con morto. Solo un bambino e un anziano poco distanti gettano uno sguardo a quell’uomo disteso sotto il lenzuolo, con un’aria di attesa, le mani sui fianchi.
Il resto sono occhi che guardano altrove, anzi che fanno di tutto per evitare di incrociare l’immagine della morte così sfacciatamente immobile. O forse no, non evitano niente, non la vedono e basta. L’ombrellone rovesciato li aiuta a schermare uno scandalo tanto intollerabile. L’uomo aveva 73 anni, si chiamava Antonio Sommaripa, abitava nel quartiere Miano e in mattinata i bagnanti hanno visto galleggiare il suo corpo (che per quanto ne sapevano poteva essere ancora in vita) su quell’innocuo e piccolo specchio d’acqua chiuso dagli scogli, dove dicono che non annegherebbe neanche un bambino lasciato solo. Invece di soccorrerlo, hanno preso un telefonino e hanno chiamato il 118, perché ci pensassero i medici del Pronto Soccorso a fare il possibile (l’impossibile).
Solo dopo, qualcuno ci ha ripensato e ha deciso di trascinarlo a riva. I medici non hanno potuto che constatarne il decesso per annegamento. Niente bagnini, sulla spiaggia centrale di Napoli? Niente bagnini, a quanto pare. Ma soprattutto, nessuna pietà sulla spiaggia centrale di Napoli? Nessuna pietà. A giudicare dall’agghiacciante normalità di quelle scene, dove nulla riesce a turbare i sacri rituali preagostani, un morto vale una sedia vuota, una borsa abbandonata, un cestino dei rifiuti. Rifiuto esso stesso, se si può continuare a leggere un libro o il giornale con un cadavere a due passi, se si riesce ad aprire un tubetto per spalmarlo sulle spalle arrossate dell’amica, se si può rimanere sdraiati pancia all’aria e gambe divaricate ad abbronzarsi.
Neanche i sassi che circondano la Mappatella Beach sembrano capaci di tanta indifferenza di fronte a un uomo morto. C’è una famosa poesia di Ungaretti, intitolata «Veglia», in cui un soldato evoca una nottata di guerra del ’14 passata a fianco di «un compagno / massacrato / con la sua bocca / digrignata / volta al plenilunio / con la congestione delle sue mani»: ricorda che in quella notte, disteso a fianco della morte («penetrata nel mio silenzio »), non si è sentito mai «tanto attaccato alla vita» e ha cominciato a scrivere «lettere piene d’amore». Ci vuole il massacro di una guerra per avere tanto rispetto della morte, e perciò della vita? O lo si può avere non solo sotto il plenilunio ma nel solleone, non solo al fronte ma anche su una spiaggia, non solo in divisa ma anche in costume da bagno? Con le pance sporgenti, con le gambe adipose? Insomma, in tempo di pace. E di benessere.
Paolo Di Stefano
31 luglio 2009
Corriere.it
Oltre al tono un po' diverso, con noi si sono scomodati addirittura in una citazione poetica...

Che schifo.