
Ed eccoci finalmente arrivati all’ultima serie di questo primo turno di playoff 2008, e due o tre cosine si sono già viste dopo l’interessante gara-1. Lakers-Nuggets è una sfida per amanti del genere Western: si spara tanto, e almeno da una parte si lascia anche sparare senza molti problemi esistenziali. Con risultati da infarto per i puristi della difesa (128 a 114 il finale del primo atto).
I Los Angeles Lakers hanno iniziato la stagione con la notizia più brutta che potessero immaginare, ovvero l’esplicita richiesta di Kobe di essere ceduto a una contender, perché la voglia di aspettare un altro anno per giocarsi quel titolo, che da quando è andato via Shaq non ha visto neanche in fotografia, era andata decisamente a sud. Per fortuna o purtroppo, la dirigenza ha tenuto duro davanti alle tante richieste che sono arrivate ad Hollywood ed anzi, ha piazzato il colpo che ha cambiato l’espressione facciale di Kobe da triste a felice, diciamo anche felicissima. L’entusiasmo portato dall’arrivo di Pau Gasol ha contagiato tutto l’ambiente in maniera spaventosa e nemmeno l’infortunio della sorpresa più lieta della stagione, quello di Andrew Bynum, è riuscito a fermare la corsa spedita della franchigia verso il primo posto ad Ovest, impensabile fino a Novembre. L’arrivo di Gasol permette a coach Jackson diverse soluzioni tattiche: innanzi tutto, lo spagnolo sembra disegnato dal sarto per il triple-post-offense e risponde a tutte le caratteristiche che coach Zen chiede ai suoi lunghi sia dentro che fuori dal campo (esperienza, voglia di vincere, capacità di giocare in post, intelligenza tattica di stampo europeo, grande voglia di giocare con gli altri, doti di passatore non comuni e via discorrendo…). Inoltre, la pericolosità offensiva di Gasol ha definitivamente sdoganato Lamar Odom, mentalmente ancor prima che tatticamente, poiché si è liberato dalle pressioni derivanti dall’essere il secondo violino della squadra di Kobe Bryant in una piazza come Los Angeles. E il suo talento è esploso: gara-1 con i Nuggets è la testimonianza di come, se lasciato libero di esprimersi e anche, perché no, di sbagliare, Odom possa essere determinante grazie alle sue doti di passatore, rimbalzista e difensore. L’arrivo di un veterano come Derek Fisher nel reparto di dietro ha permesso a coach Zen di avere una ruota di scorta di importanza capitale se i due playmaker più giovani, Farmar e Vujacic, dovessero commettere ancora gli errori di gioventù che ne hanno frenato lo sviluppo in questi anni; tuttavia, i due giocatori insieme rappresentano un’importante riserva di intensità difensiva e tiro dalla lunga distanza per cambiare il ritmo della gara e togliere un po’ di pressione dalle spalle di Kobe, Gasol e Odom: per questo motivo, i due fanno parte di questo gruppo e hanno ruoli importanti, perfettamente funzionali al sistema di gioco inventato da Tex Winter (sempre in ottima forma a fronte degli 86 anni suonati testimoniati dalla carta d’identità). La rotazione dei Lakers conta anche su giocatori come Radmanovic (che se è in giornata può fare molto male sul lato debole del triangolo), Walton (importante perché può giocare sia lo spot di “post-basso” che quello di “angolo” nella configurazione dell’attacco) e il francese Turiaf (entusiasmo e solidità al servizio della causa gialloviola).
Insomma, di dubbi fino ad ora se ne sono visti pochi in casa Lakers, soprattutto quando ci pensa un Kobe formato-MVP a coprire tutte le magagne dei suoi compagni, ma resta il fatto che una serie di playoff questo gruppo non l’ha ancora portata a casa, e questo potrebbe farsi sentire in una finale di conference che li vedrà probabilmente scontrarsi con la sopravvissuta tra Suns e Spurs. Utah permettendo.
I Denver Nuggets sono riusciti a guadagnarsi l’ottava moneta ad ovest per il rotto della cuffia, grazie alla fondamentale vittoria a San Francisco nello spareggio contro i Golden State Warriors. Personalmente, non provo molta simpatia per questa squadra, lo ammetto: gioca un basket straordinariamente etereo, con solisti di altissimo livello (Ive e ‘Melo) e giocatori con tanti punti nelle mani ma pochissima voglia di difendere. E visto che nel basket si gioca su DUE lati del campo, per me con questa configurazione di roster resteranno per sempre una franchigia a metà: splendida da una parte, ma inconsistente dall’altra. Molti diranno: beh, non è vero che non difendono, hanno il miglior difensore del 2007 (Camby) e anche Martin, Najera e Carter sono giocatori che dietro hanno un minimo di decenza cestistica. Secondo me è vero solo in parte: Camby è un ottimo difensore, ma solo se si parla di stoppare in aiuto, visto che appena gli si chiede di marcare uno contro uno un giocatore come Gasol si vedono tutti i suoi limiti anche nella metà campo difensiva; e gli altri tre possono anche coprire le “dimenticanze” di Melo, AI, Smith e Kleiza, ma rimangono giocatori che non formano la benché minima mentalità in una squadra troppo sbilanciata in avanti, prima ancora filosoficamente che pragmaticamente. A causa dei limiti difensivi degli esterni del proprio roster, coach Karl è stato costretto ad inventarsi un Kenyon Martin in marcatura su Bryant in gara-1, e anche se l’esperimento ha pagato fino al quarto quarto, ha concesso agli altri quattro Lakers in campo di scorrazzare a piacimento nell’area e sul perimetro per tutta la partita, facendo valanghe di assist (33 alla fine) e trovando giocate di squadra passatrice che neanche i Kings di inizio millennio… L’unico motivo per guardare con ottimismo per le prossime gare è il parziale devastante del secondo quarto, dove i Nuggets sono arrivati a condurre anche di 8 lunghezze grazie ad un Kleiza formato bombardiere e ad un J.R. Smith in forma smagliante. Ma è stato un fuoco di paglia, e rimangono i dubbi sul fatto che JR sia rimasto seduto in panchina per tutto il terzo periodo, proprio quando i Lakers hanno ingranato le marce alte servendo Gasol a non più di 15 centimetri dal ferro ad ogni azione e Melo&AI non trovavano più la via del canestro. Un suicidio tattico che non depone per niente a favore di George Karl.
La serie, vista gara-1, non sembra neanche poter iniziare sul piano tattico se i Nuggets non decidono che l’azione difensiva è un momento della partita al quale dedicarsi e non soltanto un periodo di riposo tra un’azione d’attacco e l’altra. Per portare a casa una partita, inoltre, servirà mettere in campo tutto il contropiede e il playmaking che Allen Iverson ha da qualche parte dentro di sé: se riescono a “tenere il campo” con AI-Smith-Melo-Martin(o Kleiza)-Camby, allora si potrebbe anche parlare di partita di basket, sennò è un gioco al massacro contro l’attacco di Los Angeles. I Lakers, dal canto loro, devono giocare con la testa, sia in attacco che in difesa: trovare con continuità Gasol, muovere la palla da un lato all’altro, giocare come sanno e resistere alle sfuriate offensive dei Nuggets, senza cedere al morbo del “salvatore della patria” (vero Kobe?). Se manterranno la lucidità, soprattutto in gara-3 sulle alture della mile-high-city, allora si potrebbe anche parlare di cappotto, altrimenti si dovrà tornare alla città degli angeli per chiudere i conti.
Gara-1, in quanto ad accoppiamenti difensivi, ha visto la strana mossa di Karl di mettere Martin su Kobe praticamente da subito e in casi disperati (ovvero subito) il ricorso alla zona per non esporre troppo i proprio gioielli in fase difensiva. In casa Lakers, invece, Kobe si è inizialmente dato da fare su Iverson per poi passare il testimone a Fisher durante la partita, e anche se Ive ha trentelleggiato a fine gara, i suoi 30 sono stati ininfluenti al fine del risultato quasi quanto quelli di Anthony. Comunque si giocherà così: Fisher/Farmar per Iverson, Kobe per Martin (per i Nuggets), Kobe/Vujacic su Carter/JR Smith, Radmanovic/Walton/Odom in staffetta su Melo/Kleiza, Odom - Martin, Gasol/Turiaf - Camby.
Ripeto il concetto fondamentale: tra le due squadre sembra esserci un abisso filosofico e cestistico prima ancora che tecnico, e se Karl non si inventerà qualcosa in tempi brevi (diciamo in gara-3), la post-season a lungo inseguita potrebbe concludersi prima ancora che finisca Aprile.







