Messaggioda Libero » 03/06/2013, 10:21
ormai siamo fuori, pace. Sottolineo una cosa, per insegnare a chi si lamenta del pubblico di Roma come costruire una passione:
Abbiamo una squadra che tecnicamente è imbarazzante, una squadra in cui siamo contenti se chi tira i liberi ne mette uno. Però quello che manca tecnicamente viene sostituito con un cuore enorme. Questi ragazzi hanno le palle, e si sono meritati l'affetto del pubblico. La sincerità paga, sempre. Al tifoso non piace essere preso per il culo. Se mi dici che fai una squadra per vincere e poi prendi grandi nomi ma non metti su una squadra io ti mollo, perché vedere il fenomeno strapagato che non lotta in campo mi fa sentire uno scemo a venirti a dare 25 euro.
Al contrario vedere un onesto giocatore di basso livello sputare pure l'anima, o vedere uno col setto nasale rotto buttarsi su ogni pallone, o vedere Gigi ieri sera zoppo che cerca saltellando di rientrare per fermare un contropiede... Beh questo fa innamorare il tifoso. E lo sottolinea l'applauso che i nostri ragazzi si sono presi ieri sera nonostante una partita brutta a livello tecnico ed in cui non siamo mai stati in grado di contrastare veramente Cantù.
Non dico altro, ci sono tanti rimpianti perché nonostante tutto Siamo stati in grado di giocarla fino all'ultimo, nonostante ad esempio ieri Cantù avesse tre centri e noi uno solo (Lawal è riuscito a farne buttare fuori due e ha quasi buttato fuori pure l'ultimo). Con un altro Datome adesso saremmo avanti nella serie o forse l'avremmo anche vinta, ma nello sport gli infortuni ci stanno, quindi complimenti a Cantù.
Adesso vorrei che la dirigenza si ricordasse di questa annata e facesse delle scelte oculate, senza promettere mari e monti ma dicendo con onestà come stanno le cose. E magari, perché no, facciamo un pensierino all'Eurocup. Che non è l'eurolega, però potrebbe far capire ai tifosi che c'è di nuovo un progetto...
Per quanto siano dolorosi i ricordi, dimenticare significa morire. E, nella misura di tutte le cose, nulla che sia davvero vivo vuole davvero morire. (Richard Chwedyk, The Measure of All Things, Urania Millemondi n.40, pagg.105-108. Traduzione di Pietro Anselmi.)