Queste due squadre si erano già affrontate nel 2005 e nel 2006, ma se i Suns erano ancora quelli di Nash, Stat ed il run'n'gun d'antoniano, i Lakers erano un accozzaglia di mezzi giocatori attorno a Kobe. Phoenix vinse entrambe le serie, ma con grandi problemi e non prima di sei partite durissime: non un bel segnale.

Dopo aver faticato contro Oklahoma City, i Lakers hanno superato in tranquillità l'ostacolo Jazz con un netto 4-0, rischiando di fatto solamente nella gara-3 decisa dalle triple di Fisher e dall'errore di Matthews sullo scadere. Una serie che ha dato diversi motivi per sorridere a Phil Jackson: innanzitutto la forma ritrovata di Kobe, che ha trentelleggiato in tutte e quattro le partite e sembra in condizioni migliori rispetto al primo turno; poi un'altra serie stellare di Pau Gasol, che ha concluso con 23,5 ppg, 14,5 rimbalzi (5.5 offensivi), 2,8 assist, 2,8 stoppate con il 60% dal campo e l'86% dalla lunetta (il migliore della squadra, ed è il centro... Soft a chi?); Artest e Fisher sono stati decisivi con le loro triple, punendo tutti i tentativi di raddoppio della difesa di Sloan, mentre Odom e Bynum sono stati un po' meno incisivi rispetto al solito, almeno numericamente.
Gli enormi problemi di accoppiamento di Utah contro i gialloviola rendono difficile dare un giudizio definitivo su questa squadra, che comunque inizia la serie con un Kobe riposato da una settimana e la sensazione che non abbia ancora messo le marce alte, vuoi perché non ne ha avuto bisogno, vuoi perché sono troppo 'pavoni' per farlo. Erano e restano la squadra più forte della NBA, specialmente quando eseguono e fanno circolare il pallone come Tex Winter comanda, ma continuano ad avere frequenti pause mentali e soffrono le squadre che giocano ad alti ritmi: due cose che contro Steve Nash ed i Phoenix Suns non ti puoi concedere.

Ci si poteva immaginare che i Suns passassero il turno contro gli Spurs? Beh, con il fattore campo a favore e la superiore freschezza atletica, sì. Che lo facessero tirando fuori le scope? No di certo.
Phoenix ha stracciato la sua bestia nera e torna in finale di Conference dopo quattro anni, quando furono eliminati in sei partite dai Dallas Mavericks di un indiavolato Nowitzki. Da quel momento in poi solo grandi delusioni per una franchigia che sembrava destinata a giocarsi l'anello nel giro di un paio di stagioni, e dopo anni di vacche magre probabilmente nessuno avrebbe scommesso un centesimo su questa squadra sia in autunno che alla pausa dell'All Star Game, quando Stoudemire era al centro di tutte le trade della NBA.
Ma quando si ha in squadra un leader nato come Steve Nash, nulla è impossibile: il canadese ha guidato i suoi in maniera mirabile, dominando quando ce n'era bisogno e lasciando il palcoscenico ai suoi compagni nei momenti chiave, raggiungendo una maturità cestistica introvabile in qualsiasi altro trentaseienne della Lega. Oltretutto in gara-4 ha chiuso la serie pur con un occhio tumefatto, raccogliendo l'ideale testimone del 'domino anche in condizioni disagiate' dall'avversario Manu Ginobili. Arrivato a quest'età, è probabile che sia l'ultima possibilità di titolo per il due volte MVP e c'è da scommettere che farà di tutto per portare i suoi in finale.
La forza dei Phoenix Suns, al di là di Nash, è il fatto che sono squadra in tutto e per tutto: ognuno dei componenti del roster sa cosa deve fare ed è felice di farlo, di aiutare i compagni e si diverte giocando: le immagini dello spogliatoio dopo gara-3 con i festeggiamenti per Dragic sono il simbolo di questo spirito di gruppo.
A proposito dello sloveno, i suoi 23 punti nel quarto quarto di gara-3 rimangono una delle prestazioni più incredibili di questi playoff, soprattutto perché totalmente inaspettata e decisiva per il risultato più sorprendente del secondo turno dei playoff (insieme ai bostoniani). Tra gli altri, si sono confermati sui propri livelli Stoudemire (utile senza forzare troppo), Jason Richardson ha continuato a tirare con il 50% da tre e Grant Hill ha svolto un lavoro commovente su Ginobili in difesa e con il palleggio-arresto-tiro quando c'è stato bisogno di improvvisare. Ad ulteriore conferma dell'unità di squadra dei Suns di quest'anno c'è il rendimento del secondo quintetto: Dragic, Barbosa, Dudley, Amundson e Frye hanno spesso scavato parziali decisivi attaccando a ripetizione il canestro avversario, senza mai far rimpiangere i titolari.

La serie avrà direttive precise: palla in post per i Lakers ad ogni possesso che non coinvolga Bryant, corsa e triple in transizione per i Suns non appena ce n'è la possibilità.
Bynum e Gasol sono troppo più grossi e talentuosi rispetto ai pariruolo di Phoenix per non fargli pagare questo evidente squilibrio, e l'ottimo coach Gentry avrà bisogno del massimo apporto da Stoudemire, Collins, Frye e prosumibilmente il recuperato Robin Lopez per reggere l'urto. Nel caso in cui si decidesse per il raddoppio sistematico, i lunghi dei Lakers hanno anche le capacità per trovare i tiratori (Artest e Fisher) liberi sul perimetro per una tripla comoda, ed a questa equazione bisogna aggiungere la notevole variabile Bryant che ne metterà trenta a sera, pur marcato dal fantastico Hill. A questo punto diventa di fondamentale importanza far ricevere il pallone ai lunghi avversari fuori dall'area pitturata: in quel caso la loro efficacia è minore ed i raddoppi non sarebbero così necessari da stravolgere la difesa di squadra.
Nell'altra metà campo tutto sta nel restarci il meno possibile: più si corre, più si prendono triple nei canonici 'seven seconds or less', più si tramortiscono i Lakers di pick'n'roll e più si avranno possibilità di vincere la serie. Tutto starà nelle mani sapienti di Steve Nash, che dovrà coinvolgere i compagni in ogni maniera possibile e non soffrire troppo la probabile marcatura di Artest, senza mai permettere ai lunghi dei Lakers di schierarsi sotto canestro. Fondamentali inoltre le percentuali: se Richardson continua a tirare con il 50% e la squadra con il 41% da tre, tutto diventa possibile per aprire quel campo e far emergere i difetti della difesa dei campioni in carica.
Queste sono comunque due squadre che amano attaccare piuttosto che difendere e viaggiano nei playoff a più di 100 punti di media: aspettatevi punteggi ben al di sopra della tripla cifra e probabilmente che nessuna delle due riuscirà a cappottare l'altra, perchè specialmente a Phoenix si gioca con il ritmo che vogliono loro.
Fisher (Farmar) – Nash (Dragic)
Kobe (Brown) – Richardson (Barbosa)
Artest (Walton) – Hill (Dudley)
Gasol (Odom) – Stoudemire (Amundson)
Bynum – Collins (Frye – Lopez)
È sicuramente una serie inaspettata, ma tutto sommata meritata per entrambe le squadre: ciò che ci si può aspettare sono grandi battaglie tecnico-tattiche ed intensità ai massimi livelli, si spera almeno per sei gare. Come in tutte le sfide al meglio delle sette, è di fondamentale importanza per i Suns rubare il fattore campo in una delle prime due partite: tornare in Arizona sotto 2-0 potrebbe essere uno sforzo troppo grande per portare poi a casa la serie.