MAURIZIO BUSCAGLIA ED IL SUO BASKET PER SFIDARE MILANO. NEL NOME DI UN SISTEMA IN CUI IDENTIFICARSI E CREDERE. E SU DADA...
Il coach dell'Aquila Basket Trento, miglior squadra del girone di ritorno e splendida protagonista dei quarti di finale dei #playoffs, ha parlato con Play me or trade me della sfida di semifinale all' Olimpia Milano, della sua pallacanestro e del sistema Trento, dentro e fuori dal campo.
Idee chiare e fiducia in un lavoro che affonda le sue radici in un percorso di crescita iniziato nelle "minors".
- Coach, partiamo dalla fine. Come si supera la difficoltà di un doppio infortunio così pesante come accaduto per Marble e Baldi Rossi nel vostro momento migliore?
E’ un mix di cose. La superi perché è il tuo modo di fare, perché piangersi addosso non serve a nulla, perché sei abituato a trovare la soluzione al problema, è il tuo lavoro, è il nostro lavoro. Si deve creare un’opportunità dal problema. La squadra andava bene ed abbiamo avuto la consapevolezza di saper scegliere con delle letture che non toccassero quanto ottenuto, con delle risposte tecniche in base a ciò che si poteva fare.
- La tua pallacanestro, ieri come oggi, ha una costante tecnica assai originale, ovvero lo sfruttamento del gioco all’interno di quella porzione di campo che tanti oggi sembrano trascurare, quella compresa tra l’arco ed i due metri dal ferro. Quanto viene dal tuo sistema e quanto è legato agli uomini di cui disponi?
E’ vero ed è qualcosa che ci portiamo dietro dalle minors, una pallacanestro che mi è sempre piaciuta. Ci ha accompagnato nella nostra crescita. Portare gli esterni vicino a canestro, così come avere delle ali in post basso, nonché sfruttare dei lunghi che non si spingono molto oltre l’arco, come fanno tanti oggi. Da lì nasce il nostro gioco “mid range”. Ed una cosa molto “vintage” che si vede poco, come sfruttare la finta, palleggio, arresto e tiro.
- “Vintage” mi piace molto , ma per me vuol dire pallacanestro, quella vera. Eppure avete cambiato tanto. Come l’hai gestita?
Abbiamo dovuto e saputo cambiare pelle, passando da uomini come Julian (Wright), un lungo che trattava il pallone lontano dal ferro, ad altri con caratteristiche molto differenti. Senza però abbandonare la nostra via maestra. Quel “mid range”, appunto.
- Nel momento più duro, verso la fine del girone d’andata, coinciso con la mancata qualificazione alle Final 8, mi è parso di vedere un duro lavoro sulla difesa, come se si guardasse oltre l’oggi sapendo che i dividendi sarebbero arrivati un domani. E quel domani è stato il girone di ritorno. Ti ritrovi in questa affermazione?
Mi fa piacere che sia stato notato, perché nei momenti difficili spesso non accade. Abbiamo lavorato a lungo sul sistema difensivo consapevoli che avrebbe pagato nel girone di ritorno ed i ragazzi, tutti, ci hanno creduto fino in fondo. Non è facile, ma se lo si fa tutti insieme poi il risultato arriva. Durante la pausa della Coppa Italia ci siamo detti che, nonostante la delusione, quello era il momento di fare l’ultimo passo verso la crescita completa, che è arrivata.
- E’ stata appunto una grossa delusione non fare quelle Final 8?
Ti rispondo con il concetto di ambizione, che per noi è tanto ma è sempre legato al mettere un piede davanti all’altro, ben saldi per terra, ma comunque avanti. Trento decima può anche esser normale, no? Ecco, eravamo decimi, ma il fatto che tanti parlassero di delusione ci ha aiutato a capire che avevamo raggiunto uno status superiore, per cui da noi ci si attendeva di più. E sapevamo di poterlo fare.
- Spesso si associa il termine “piccoli” ad una eccessiva perimetralità, ma la tua Trento non abusa del tiro da tre e non lo utilizza mai a caso. Quel tiro dall’arco è però ciò che vi può rendere decisamente duri da affrontare, se non ingiocabili?
Il tiro da tre è un aghetto della bilancia per noi. Non è uno stile di gioco, lo cerchiamo in base al nostro sistema ed alla bontà del tiro stesso. Quando le cose non andavano bene, rivedendo le nostre conclusioni e le statistiche relative, ho notato che l’80% erano buoni tiri, ben costruiti, ma la palla non entrava. Ho guardato le statistiche dei passaggi smarcanti, che non diventavano assist, e ne ho avuto conferma. Siamo “undersized” sotto, ma anche “oversized” fuori. Dobbiamo credere nel nostro sistema.
- Meo Sacchetti mi ha detto più volte, fin dallo scorso anno, che Trento gioca bene perché muove palla e uomini. Oggi se va bene si muove la palla, in giro gli uomini sono spesso fermi. E’ questa la differenza tra la tua squadra e le altre, nonché uno dei motivi dei vostri ottimi risultati?
Grande Meo, sono contento che lo abbia fatto notare uno come lui. Quando sento parlare di “ball movement” io aggiungo sempre “players movement”. La devono toccare in tanti, il più possibile. E sono molto attento alle statistiche che riguardano l’attacco del secondo lato: perché voglio il terzo, così sai dove cade la palla a rimbalzo, dove non arrivano le rotazioni avversarie etc. Se la mia point guard tocca la palla due volte siamo sulla strada giusta.
- A proposito, è come accade a Mosca. Quando Teodosic la tocca due volte, le percentuali, che mi sono studiato spesso, superano un irreale 80%. Venerdì se lo sono scordato ed ecco la frittata. Ok, Teodosic è unico, ma vale per tutti?
Credo proprio di sì.
- Una curiosità su un tuo giocatore, Aron Craft. Un giorno lessi che ad Ohio State lui era inamovibile, mentre Della Valle era ai margini delle rotazioni e che ciò oggi sarebbe impensabile. Pensai di essere stupido a ritenere che anche oggi, se dovessi scegliere, starei con Craft, con tutto il rispetto per il reggiano. La ragione è che mi pare un giocatore che lavora in modo tremendo sui suoi limiti, guadagnandosi col sudore la leadership. Raccontami la tua point guard?
E’ esattamente il lavoratore straordinario di cui parli. Ogni giorno un passo in più, asticella sempre più alta, leadership condivisa, attraverso quel lavoro, con il nostro Capitano, Toto Forray. E’ un computer per letture, sempre positivo, capace di esaltare i propri pregi e limitare i propri difetti. Ma soprattutto sa esaltare il gioco degli altri. L’ultima parte del suo gioco è sempre la prima di quello dei compagni. Con tutto il rispetto per Amedeo, come dicevi, che non deve essere parte di questo paragone di cui avevo letto anch'io.
- Veniamo alla serie contro Milano. Non si può certo ridurre ai lunghi milanesi contro i tuoi esterni, o lunghi sottodimensionati che dir si voglia. Cosa c’è di più?
Non è lunghi contro corti, non è stanchi contro chi lo è un po’ di meno, non è roster lungo contro rotazioni più limitate: non può essere soltanto tutto ciò. Io ci tengo molto a sottolineare i piccoli momenti storici di una società. Questa serie per noi è un traguardo fondamentale perché non si è più solo ai Playoff, ma si gioca una semifinale scudetto, Vuol dire essere nelle prime quattro, un posto nobile. Si gioca per andare in finale contro una squadra che è la più forte. Abbiamo sofferto la mancanza dell’Europa, dopo aver fatto bene lo scorso anno, ce la siamo ripresa col nostro lavoro. Oggi abbiamo il desiderio di sembrare qualcosa di più, di provare a costringere loro ad affrontarci e difendersi dal nostro attacco, in senso lato, non riguardo la sola metà campo offensiva. Non dobbiamo giocare solo contro Milano, dobbiamo provare a giocare Trento contro Milano, secondo la nostra identità.
- Come si affronta Milano?
Non facendola giocare insieme, perché se li lasci fare in 5 sono fortissimi. Dobbiamo provare a togliere loro fiducia, altrimenti anche le debolezze, che non sono tante ma che anche loro, come tutti, hanno, diventano punti di forza. Loro forza che è quella di poter coprire tutti i 40 minuti sul campo. Dobbiamo togliere un po’ di sicurezza al loro sistema, evitando che entrino in modalità Eurolega. Sì, dico Eurolega perché al netto delle critiche per una stagione non positiva, se loro giocano a quel livello, come possono fare, in Italia nessuno può farci niente e vincono.
- Ed a Milano c’è Dada. Impossibile non chiederti un parere. Avendo potuto seguire qualche allenamento Olimpia ho visto un ragazzo che si allena come pochi e lo fa su quelle sue peculiarità che magari in campo paiono soluzioni casuali, ma che in realtà sono frutto di tanto lavoro. Chi è il tuo Dada?
E’ quello di cui mi parli, frutto di un lavoro che ho visto quotidianamente per sei anni. Ero certo che avrebbe potuto fare bene anche al piano di sopra (Eurolega), ci credevo tanto. E sai cosa c’è di straordinario? Oggi arriva anche alla terza finta. Tu pensi che tiri dopo due movimenti, ma lui te ne fa un altro e si porta a casa una soluzione migliore.
- In un mondo in cui gli allenatori vivono sulla graticola, con dirigenti spesso dediti al cambiamento senza reali ragioni tecniche, ho l’impressione che la miscela società, squadra, pubblico di Trento sia una cosa unica, che deriva da una perfetta consapevolezza del proprio ruolo e delle proprie dimensioni. Come ci si arriva?
Siamo nati così ed abbiamo continuato il lavoro. Siamo migliorati crescendo, comprendendo che se non puoi fare due passi alla volta ne fai uno, ma sempre avanti. Tutti insieme, perché se da solo vai veloce, insieme puoi volare.
- Ci vediamo giovedì Coach. In qualunque serie, io tifo sempre e comunque per gara 7...
Non lo so, io penso ad una alla volta, ora la prima, poi si comincia ad aggiustare qualcosa per gara 2 e così via.
Una serie con Trento non può mai esser banale per via di quella identità precisa e quella comunione di intenti che fa la differenza.
Sotto la guida di Coach Buscaglia.