
«Va bene dai: DERBY D'AMERICA!» (Federico Buffa)
Boston Celtics contro Los Angeles Lakers è la storia della NBA, l'aristocrazia della Eastern e della Western Conference che si incontra nel salotto migliore per disquisire di pallacanestro, è dove le più grandi leggende del basket mondiale sono nate. Da Bill Russell e Jerry West passando per Larry Bird e Magic Johnson, arrivando a Paul Pierce e Kobe Bryant: la sfida tra biancoverdi e gialloviola ha attraversato tre decadi della NBA arrivando a questo quattordicesimo atto, con il bilancio che vede uno schiacciante 11-2 a favore dei bostoniani. Ma non è solo la storia antica della NBA che si ripete, è anche quella recente: le due squadre hanno vinto gli ultimi due titoli e questo secondo atto tra di loro, dopo quello del 2008, è il definitivo redde rationem per decidere qual'è la dinastia che segnerà la NBA a cavallo della decade.
Per Boston è la ventunesima finale, con un bilancio di 17-3 finora, mentre per i Lakers sarà la trentunesima (e terza consecutiva) con un bilancio di 15-15. Tra i due quintetti che si sono affrontati 24 mesi fa ci sono solo due cambiamenti, entrambi nei Lakers: Artest al posto di Radmanovic (e che cambiamento!) e Bynum al posto di Odom, con il centro che ha saltato per infortunio la serie finita 4-2 per i biancoverdi. C'è un'altra differenza che potrebbe rivelarsi decisiva: mentre nel 2008 i Celtics si presentavano con il miglior record della NBA e quindi con il fattore campo, ora questo è a favore dei Lakers, con lo Staples Center che è ancora imbattuto in questi playoff (ma lo era anche nel 2008...).

Obiettivo minimo centrato: dopo aver vinto il titolo nel 2009, tutti si aspettavano i Lakers ancora in finale e loro non hanno tradito, pur con qualche passaggio a vuoto e la classica rimonta subita dopo essere andati in vantaggio 2-0 nella serie. A risolvere i problemi nella serie contro gli encomiabili Phoenix Suns ci ha pensato, per l'ennesima volta, un Kobe Bryant ai limiti dell'onnipotenza cestistica: 33,7 di media con il 52% dal campo ed il 43% da tre, il tutto condito con dei 'lebroniani' 8,3 assist e 7,2 rimbalzi... Ma, al di là delle cifre impressionanti, ha sempre dato la sensazione a compagni, avversari e spettatori in genere di non POTER perdere quelle partite, indipendentemente da quello che i Suns avrebbero potuto fare; e meno male che doveva essere in condizioni fisiche pessime...
L'altro grande protagonista della serie è stato, per certi versi a sorpresa, Ron Artest: prima il canestro decisivo in gara-5, poi i 25 punti di gara-6 per mettere la firma sulla prima Finale della sua carriera. Ora lo aspetta probabilmente l'avversario più duro della NBA, Paul Pierce: era stato preso per marcare LeBron nell'eventuale finale, ma per certi versi sarà ancora più utile contro il capitano biancoverdi, immarcabile e decisivo nella serie di due anni fa.
Il pacchetto dei lunghi di L.A., che dovevano essere l'arma in più contro i pariruolo di Phoenix, hanno piuttosto deluso in realtà, con il solo Odom in grado di innalzare le sue cifre ed il livello del suo gioco sui due lati del campo. Gasol e Bynum, dal canto loro, non hanno ripetuto le cifre della serie contro i Jazz e sono parsi, per diversi motivi, piuttosto timidi nelle gare di Phoenix rispetto a quelle in casa: atteggiamenti che davanti a Garnett e soci non potranno ripetersi, quindi ci si attende soprattutto da loro la definitiva prova di maturità per scrivere la storia.
Tutto sommato, finora abbiamo visto i soliti Lakers degli ultimi tre anni: talentuosi e incostanti, fortissimi e pavoni, metafisici ed inconsistenti nel giro di pochi possessi; in definitiva, ad immagine e somiglianza del proprio allenatore e del proprio giocatore decisivo. Kobe? No, Lamar Odom.

«I know you all wanna win on your own, but we've got to do it TOGETHER!»
Il mantra di Doc Rivers, il ritorno dell'Ubuntu, la difesa e la mistica biancoverde, il tutto condito da un Paul Pierce maestoso: erano destinati a giocare alla morte contro Miami, ed hanno vinto in cinque partite; erano la vittima sacrificale sull'altare del primo anello di LeBron, ma hanno vinto e convinto in sei; dovevano essere spazzati via dai tiratori di Orlando e Howard, invece sono andati subito sul 3-0 e a gara-6 hanno festeggiato il ventunesimo trofeo della Eastern Conference...
I Boston Celtics del 2010 non avevano la stessa considerazione di quelli del 2008, ma hanno giocato per certi versi anche meglio e dopo due anni sono ancora lì, a giocarsi il titolo con i Los Angeles Lakers: un risultato straordinario ma che non può essere abbastanza per questo gruppo di giocatori, che dall'anno prossimo probabilmente non sarà più insieme - Ray Allen è in scadenza e lo vuole mezza NBA, Rivers lascerà per un anno sabbatico, Thibodeau è destinato ad una panchina da head coach – ma che vuole regalarsi il secondo anello per dirsi addio.
Con i Boston Celtics, storicamente ed in particolare in questa edizione, tutto nasce dalla difesa: è grazie alla ritrovata compattezza nella propria metà campo che i biancoverdi sono tornati ad essere una squadra da titolo e con i loro frequenti 'stops' possono permettere il contropiede alle 'pazzamente sagge' mani di Rajon Rondo, dominante in questi playoff. I tanti punti in contropiede hanno permesso a Rivers di mascherare gli evidenti problemi nell'attacco a metà campo, ed una grossa mano gliela hanno data gli isolamenti di un immarcabile Paul Pierce (24,3 di media con 8,3 rimbalzi nella serie contro Orlando) e le uscite dai blocchi di Ray Allen, specialmente a cavallo dei quarti.
Sotto canestro, dopo essere passati da Howard e la brutta copia di Lewis, i lunghi dei Celtics avranno un gran lavoro da fare contro Gasol, Bynum e Odom: i Lakers sono la squadra più grossa e talentusosa della NBA, ma solo i biancoverdi hanno i numeri e la qualità difensiva necessaria per tenere testa in single coverage per tutta la serie. Perkins, Garnett, Wallace e Davis: quattro difensori che possono farti male dall'altra parte se gli lasci troppo spazio, proprio quello che serve ad una squadra da titolo. Nota di merito anche ad un Nate Robinson incommentabile nel secondo quarto di gara-6 (13 punti!) e a Tony Allen, che dopo essersi 'riposato' contro il solito orrendo Carter quanto conta, avrà tra le mani il Mumba nelle Finals: auguri sentitissimi!

Il miglior attacco della NBA contro la miglior difesa? Sì, la storia tra Lakers e Celtics ci insegna questo, ma i temi tattici della serie saranno innumerevoli e non tutto si può risolvere a quella semplice formula.
Partiamo dalla difesa di Boston: eccezionale per tutti i playoff, ora dovrà affrontare la triple post offence di Jackson ed è probabile che, come nell'anno del titolo, Thibodeau cercherà di mettere subito i sassolini nel meccanismo dei Lakers, quindi pressione sul portatore di palla con Rondo, rendere difficile l'entry pass in ala (come insegna Popovich) e chiudere a doppia mandata l'area, costringendo a prendere solo tiri dal perimetro, meglio se contestati. Per tenersi sempre pronti ad aiutare verrà lasciato libero di tirare Artest, dirottando su di lui il peggior difensore sul perimetro (Ray Allen) o nel caso Pierce per farlo riposare. Su Kobe verrà effettuata la solita staffetta: i due Allen nei primi due quarti e mezzo, poi Pierce nel caso in cui il 24 inizi a scatenarsi, con i lunghi pronti ad aiutare per contestare i tiri in avvicinamento e, cosa ancor più importante, non spendere falli su di lui per non farlo quaranteggiare. La marcatura veramente difficile è Odom: Garnett ha fatto un gran lavoro contro Lewis, cancellandolo dal campo, ma il 7 gialloviola è di tutt'altra pasta e, palla in mano, può creare per sé e per gli altri.
Nell'altra metà campo, invece, i Lakers hanno Artest per contrastare Pierce, e questo fa tutta la differenza del mondo rispetto al Radmanovic del 2008: il problema, però, è che Rondo è cresciuto esponenzialmente in questi due anni ed è una minaccia non più battezzabile da Kobe, che comunque lo lascerà tirare piuttosto che vederselo in area ad ogni possesso. Paradossalmente, la marcatura migliore per Kobe sarebbe quella di Pierce, lasciando Artest su Rondo, ma è improbabile che ciò avvenga nei momenti decisivi, visto anche l'orgoglio del 24. Su Allen verrà mandato il venerabile maestro Fisher, che laddove non arrivano le gambe può arrivare con l'esperienza, ma è attaccato alle percentuali che 'He Got Game' sarà capace di produrre. Nel settore lunghi si vedrà molto poco Gasol contro Garnett, giusto il tempo di qualche minuto fino all'entrata di Odom per Bynum per l'assetto definitivo dei due quintetti nei momenti decisivi. A differenza del 2008 i Celtics non hanno Posey per poter giocare con i quattro piccoli, ma Perkins è diventato un gran centro difensivo e Rivers non rinuncia mai al suo quintetto titolare nei finali di partita, a costo di avere meno attacco.
Il controllo del ritmo sarà, come sempre, fondamentale: i Celtics ne hanno bisogno come l'aria, sia per sfruttare le capacità di Rondo (specialmente in casa) che per evitare l'attacco a metà campo, mentre i Lakers potrebbero accettare questi ritmi solo per non farsi asfissiare dalla difesa celtica per 48'.
Fisher (Brown - Vujacic) → Allen (Allen) - Rondo → Fisher
Bryant (Farmar) → Rondo - Allen → Artest
Artest → Pierce - Pierce (T. Allen) → Bryant
Gasol (Odom) → Garnett (Davis) - Garnett (Davis) → Gasol (Odom)
Bynum → Perkins (Wallace) - Perkins (Wallace) → Bynum
Capitolo panchine: nella carriera di Jackson ci sono solo due macchie: una è la finale persa contro i Pistons nel 2004, l'altra è quella della finale persa nel 2008, guardacaso proprio contro i Celtics. Adesso ha la possibilità di cancellarla battendoli nello 'spareggio decisivo', ma i due di Boston hanno sia il carisma (Rivers) e le conoscenze (Thibodeau) per fronteggiare la macchina offensiva dei Lakers. Come al solito, particolare attenzione a gara-1: nel caso in cui la vincesse Los Angeles, Jackson non ha mai perso una serie da cui è partito 1-0. Ma c'è sempre tempo per la prima volta...
Andamento della serie: con il formato 2-3-2, per la squadra senza il fattore campo è difficilissimo portare a casa la serie senza vincere una delle prime due partite. Ci sono riusciti i Miami Heat del 2006, ma nell'equazione bisogna considerare l'harakiri di Dallas che non appare possibile nella squadra di Kobe Bryant. Quindi i Celtics possono vincere questa serie solo in cinque partite o, con una partita storica a L.A., in sei; in sette sarebbe qualcosa da raccontare ai nipotini per il resto delle nostre vite.
Celtics-Lakers è LA sfida della NBA, una finale che trasuda di storia da ogni parte la si guardi: questa edizione in particolare, forse ancor più di quella del 2008 dove Boston partiva chiaramente favorita, è in bilico e bellissima prima ancora che venga alzata la prima palla a due. Lasciate perdere i vostri impegni, queste saranno notti che segneranno la storia.
