Posterò prima o poi, sicuramente prima di gara-1... Fidatevi...

Edit: eccomi

“But there’s only one way to get the kind of respect that is not deniable, the kind that they can never take away from you: Win.”
NBA - Spot “There can be only One”
Il brutto delle Finals NBA è che può vincere solo una delle due squadre: dopo 82 partite che le hanno viste trionfare nelle rispettive conference, dopo dei playoff intensi ed appassionanti, con gare che resteranno nella storia del gioco, dopo una stagione con tutti le premesse per diventare un kolossal cinematografico, si incontrano due vecchie amiche-nemiche, Los Angeles e Boston.
Purtroppo non posso citare le mitologiche sfide degli anni ’60 o ’80 visto che, come direbbero i miei genitori, “non ero neanche nei pensieri”, però figure leggendarie come Bill Russell, Jerry West, Larry Bird e Magic Johnson travalicano i futili confini del tempo e arrivano direttamente al cuore di ogni appassionato di pallacanestro, qualsiasi sia l’età anagrafica.
Ma restiamo al presente, un presente che vede affrontarsi le due squadre più convincenti dell’intera annata 2007/2008: i Lakers arrivano alle Finals con un record di 12-3 nella post-season, con lo Staples Center inviolato (8-0) e con una chimica di squadra, mentale prima ancora che tecnica, ben oliata e vincente. I Celtics hanno avuto alcuni problemi a portare a casa le prime due serie contro Atlanta e Cleveland, e l’unica serie che sulla carta sarebbe dovuta andare a gara-7 si è invece fermata a 6 pur intensissime gare (per informazioni sull’imprevisto finale anticipato basta chiedere di Wallace, Rasheed al Palace di Detroit). Inoltre quel sogno, quel “patto per l’anello” stipulato tra Boston e Roma verso agosto-settembre, è adesso a 4 vittorie di distanza e concludere una stagione così magicamente biancoverde senza il titolo potrebbe avere un peso notevolissimo sull’intera storia della franchigia.
Kobe Bryant passerà con ogni probabilità alla storia del gioco come il degno erede, tecnicamente prima ancora che mediaticamente, di Michael Jordan. Le somiglianze tra i due sono esplose in questi playoff, sia quando si è preso la responsabilità di quei canestri in uno contro uno negli ultimi cinque minuti di partita, sia quando ha usato la stampa per ammorbidire il suo prossimo (ostico) avversario, Bruce Bowen. Ora è il momento di compiere il passo successivo: il primo titolo da unico e vero prim’attore della squadra, da leader maximo, senza ingombranti centri di poco movimento e molta personalità ad offuscarne l’indubbia grandezza. Una eventuale sconfitta potrebbe mandarlo in un vespaio di polemiche, visto che il primo responsabile di questi Lakers è sicuramente lui: sono certo che ha le spalle abbastanza larghe per sopportarne la pressione, e sono altrettanto certo che farà di tutto, soprattutto al Kobe Stadium, per portare a casa l’anello. E il cinquantello a Bean Town potrebbe non essere un’eventualità troppo remota, sempre che la difesa di Boston lo permetta.
Pau Gasol ha dimostrato di essere un giocatore di sicuro livello anche contro la tempesta-Duncan dei playoff, ma adesso deve compiere uno step-up importante in trasferta: troppo spesso non è riuscito ad aiutare Kobe e Odom nei momenti decisivi, mettendo qualche canestro importante al di fuori dello Staples Center, e a Los Angeles si sta spargendo la voce che manchino un po’ di cojones per diventare un completo secondo violino di una squadra da titolo. Pare brutto smentirli tutti, Pau?
Lamar Odom, il terzo Big Three gialloviola, ha disputato secondo me dei playoff meravigliosi giocando un basket totale, di tante piccole cose utili alla squadra: ed è proprio a livello mentale, mettendo il suo enorme talento mancino al servizio della causa, che Odom si è liberato di tutte le catene mentali che aveva nella sua psiche. Sono certo che su questo aspetto ci sia il grosso zampino di Coach Zen, che chiamandolo NSP (Not Scottie Pippen) ha voluto punzecchiare il proprio giocatore “totale” sui due lati del campo e ne ha tratto il massimo possibile. Si è grandi allenatori anche per queste cose, e proprio quel grande allenatore potrebbe mettere l’anello anche sull’ultimo dito libero disponibile, se le Finals sorrideranno ai gialloviola: e se proprio non si vuole considerarlo il più grande allenatore di sempre, bisognerà se non altro riconoscere che è il più vincente, anche più del leggendario Red Auerbach (guarda un po’, l’uomo-Celtics…).
Il supporting cast giocherà un ruolo fondamentale nei momenti di secca offensiva della squadra: i vari Fisher, Vujacic, Farmar, Radmanovic e Turiaf assicurano difesa, tiro, entusiasmo ed intensità, che saranno determinanti per contenere le prevedibili sfuriate biancoverdi a Boston e per scavare solchi decisivi tra secondo e terzo quarto nella città degli Angeli. Nota finale per un protagonista silenzioso di questo miracolo losangeleno: Mitch Kupchak è passato dall’essere il GM più bistrattato della Lega all’essere in corsa per essere nominato GM of the year, onore al merito per aver costruito una squadra degna del titolo NBA.
I Boston Celtics, dal canto loro, sono all’ultima tappa di un viaggio lunghissimo ed emozionante: basta così poco per trasformare tutto questo in gioia sfrenata, oppure per vedere tutto dissolversi proprio sul più bello. Perché la stagione dei Celtics non può essere considerata positiva se non si conclude con Pierce che alza il trofeo: è il loro destino, lo sanno sin da settembre e non possono permettersi di sbagliare questa serie, soprattutto avendo il fattore campo a favore.
Per Kevin Garnett è arrivato il momento aspettato da una vita: se per Kobe Bryant il gusto del titolo è già arrivato tre volte, per “the Revolution” è il primissimo giro di valzer nel grande ballo delle Finals, come per i suoi compagni d’avventura Pierce e Allen. Ora si tratta di diventare grandi, ma grandi per davvero: Bill Russell potrà anche condividere due dei suoi anelli, ma se dovesse malauguratamente perdere, nulla potrebbe cancellare la mancanza di un titolo nella carriera di un giocatore, fino a qui, meravigliosamente perdente. La pressione, secondo me, è tutta sulle larghe spalle del leader dei Celtics.
Non se la passa molto meglio Paul Pierce: bandiera celtica per lunghi anni di vacche magre, è un po’ lo Javier Zanetti d’America, visto che ha dovuto sopportare tante delusioni prima di poter vincere qualcosa di veramente importante come il titolo della Eastern. Sarà una serie di finale molto particolare per lui, losangeleno di nascita e bostoniano d’adozione cestistica: per un ragazzino cresciuto a “pane, palla & Magic Johnson” avere la possibilità di vincere il suo primo titolo contro la squadra per cui fa tifo da anni dev’essere un’emozione difficilmente raccontabile. Scherzo del destino, potrebbe essere proprio lui l’uomo chiave della sfida: i Lakers non si possono permettere di schierare per troppo tempo Bryant su di lui e dev’essere bravo Pierce a punire gli accoppiamenti difficili con Radmanovic o con Walton. Come se non bastasse, nella sua metà campo dovrà fare i conti con l’MVP per alcuni brani di partita: la strada verso il primo anello è lunga, caro P-Square.
Ray Allen, proprio quando sembrava che fosse destinato a scomparire dalle mappe cestistiche in quel di Seattle, ha colto al volo l’opportunità di vestire la stessa maglia di Garnett e The Truth: la sua stagione è stata altalenante, anche a causa di un sistema difensivo nel quale si trova con qualche difficoltà a dover fronteggiare shooting guard di livello assoluto, come Rip Hamilton o Joe Johnson. Questo impegno difensivo lo porta inevitabilmente a rendere un po’ sotto le attese in attacco: ha letteralmente sparacchiato per la maggior parte della post-season, per poi ritrovarsi nelle ultime partite contro i Pistons, quelle decisive per il viaggio alle Finals. E’ enigmatico e non penso che qualcuno possa affermare con sicurezza quale dei due Jesus si presenterà alla resa dei conti: il “cugino pirla” (cit.) o il miglior tiratore puro della Lega? Dalla sua interpretazione della serie passano molte speranze biancoverdi.
Per completare il quintetto, i tanto bistrattati Rondo e Perkins: il primo sta passando dei playoff non esaltanti dal punto di vista del rispetto che gli portano le difese avversarie. Spesso, infatti, è lasciato libero da marcature e apertamente sfidato al tiro: c’è da credere che, se sarà marcato da Bryant in alcuni spezzoni di partita, la tattica potrebbe essere adottata anche dai Lakers. Il secondo, invece, dimostra di poter stare in campo anche a questi livelli, specialmente quando punisce le distrazioni avversarie e sfrutta gli assist di Garnett o di Pierce per un facile lay-up o per una schiacciata. Dalla panchina, per sopperire ad eventuali perdite di concentrazione dei due giovani, sono pronti Sam I Am Cassell e PJ Brown. Due sicurezze di tipo diverso: il primo imprevedibile ed istrionico, il secondo più inquadrato nel sistema di gioco sviluppato da Rivers e Thibodeau (straordinario se si pensa che questa squadra è al primo anno di convivenza). Ma la vera chiave difensiva della serie sarà l’apporto che saprà portare James Posey: determinante nelle Finals 2006 contro Nowitzki, avrà vita molto difficile contro il miglior giocatore del pianeta in questo momento. Sicuramente non in molti vorrebbero essere nei suoi panni, ma Posey è giocatore di capacità difensive e tecniche fuori dal comune e per questo potrebbe riuscire a dare un po’ di fastidio al marziano con il 24. E sperare che sbagli lui.
Sulla serie pesa l’andamento dell’intera post-season: in casa si vince quasi sempre. Infatti insieme le due squadre sfoggiano uno sfavillante 18-1 nelle partite casalinghe, quindi è abbastanza pronosticabile che la prima che riesce a fare il colpaccio in trasferta si porta in grosso vantaggio per la conquista del titolo. I Lakers, in particolare, devono tassativamente vincerne almeno una al TD Banknorth Garden per togliere il fattore campo: fossi in Coach Jackson punterei molto sulle prime due gare, visto che andare a vincere in gara-6 o 7 in Massachusetts potrebbe rivelarsi quasi impossibile senza un Kobe che paga con il cinquantone per tutti. Quest’anno solo i Pistons sono riusciti ad espugnare il Garden nel playoff, ma Los Angeles non ha lo stesso tipo di difesa tecnica per riuscirci, almeno sulla carta: la loro vittoria passa, sostanzialmente, da quanto ritmo offensivo riusciranno a mantenere, specialmente contro l’asfissiante difesa celtica. E se Gasol risultasse determinante contro un avversario buono ma non eccelso come Perkins…
Per Boston tutto sta nello sfruttare i miss-match che ha in canna: Pierce è, adesso come adesso, un rebus al quale non si vede soluzione (Radmanovic? Walton? Un redivivo Ariza?), se non un Kobe difensivamente concentrato negli ultimi 5 minuti di partita. Ma uno sforzo del genere non è prolungabile per tutti i 48’: per questo penso che Kobe “marcherà” spesso Rondo, per non averlo stanco né in attacco né in difesa nei momenti decisivi e per lasciare Allen contro l’esperienza di Fisher, che sa difendere per davvero. Sotto canestro invece i Celtics dovranno trovare canestri facili: Gasol non è un gran difensore, ma in aiuto sul penetratore sa farsi valere perché ha tanti centimetri a disposizione. Se Perkins o PJ Brown saranno abbastanza scaltri da farsi trovare pronti sullo scarico del penetratore o sul rimbalzo offensivo, per i biancoverdi sarà un’arma determinante. Nella city of Angels, invece, sarà determinante il controllo del ritmo e conseguentemente dei tabelloni: meno gente a rimbalzo d’attacco per evitare la transizione gialloviola (specialmente l’early offense del 24) e lotta selvaggia sotto il proprio canestro potrebbero essere due mosse da prendere in considerazione. E, soprattutto, tanta tanta difesa: il marchio distintivo della squadra fino ad ora non può venire a mancare proprio ora che c’è n’è così tanto bisogno, contro un attacco triangolo che sta girando a meraviglia da un paio di settimane a questa parte (basta vedere che Gasol nella serie contro San Antonio ha mantenuto una media di 5 assist a partita… non male per un centro…). Ovviamente sarà compito del Bigliettone caricarsi sulle spalle l’emotività del gruppo e portarla verso l’asfissia dell’attacco gialloviola, ed in particolare del Black Mumba. In quanto all’andamento delle gare, penso che Boston debba mantenere il servizio nelle prime due gare in casa e cercare di fare il break a Los Angeles: con queste premesse, la conclusione in sei game sembra già scritta nella pietra.
Capitolo accoppiamenti sui due lati del campo: (la freccia significa “marca”)
Rondo (Cassell) -> Fisher (Farmar) (Vujacic) Fisher (Vujacic) -> Allen
Allen (Posey) (Pierce) -> Bryant Bryant (Farmar) -> Rondo (Posey)
Pierce <-> Radmanovic (Walton) ( <- Bryant per ultimi minuti)
Garnett <-> Odom (Turiaf)
Perkins (PJ Brown) <-> Gasol (Turiaf)
Sulle due panchine si scontrano due filosofie di gioco profondamente differenti: Phil Jackson è un predicatore prevalentemente offensivo e i Lakers brillano molto di più in attacco che in difesa, mentre Rivers e il suo assistente Thibodeau hanno creato una macchina difensiva impressionante in pochissimo tempo. A questo punto conteranno tantissimo i tanti, piccoli accorgimenti tattici nel corso della serie, sia a livello di marcature sia come tipi di difese (un po’ di zona per spezzare il ritmo?). E, nel campo degli accorgimenti, pochi possono vantare l’esperienza di Coach Zen, che dovrà inevitabilmente dare un piccolo vantaggio ai Lakers.
Personalmente non so da che parte schierarmi con il cuore in questa sfida, visto che entrambe meriterebbero di concludere questa stagione speciale con il titolo, ma delle due solo una rimarrà. Razionalmente penso che, se Boston mantenesse il fattore campo nelle prime due partite, la serie sia decisamente indirizzata sui binari biancoverdi, visto che pensare che i Lakers vincano quattro delle successive cinque mi sembra un po’ troppo anche per lo sceneggiatore di Hollywood che ha scritto questo finale potenzialmente strappalacrime.
Buone Finals NBA a tutti!
Ps. “Ah, se non vi piacciono le Finals NBA, non vogliamo neanche conoscervi eh!” Federico Buffa e Flavio Tranquillo