
E’ tutto l’anno che l’aspetti.
Dopo mesi di regular season estenuante, di playoff intensissimi e di scontri epici, siamo arrivati alla finale di conference che tutti ci aspettavamo: Boston Celtics contro Detroit Pistons. Era destino che queste due squadre si incontrassero, perché sono obiettivamente le due più forti contendenti ad Est e perché già nelle tre sfide stagionali (2-1 Celtics) era chiaro che il discorso tra queste due filosofie di gioco, così simili e diverse allo stesso tempo, non si sarebbe potuto esaurire senza il più degno degli scenari, la Finale di Conference.
Dopo le 14 partite che sono servite ai Celtics per piegare Atlanta e Cleveland, i limiti della squadra sono sotto gli occhi di tutti: il gruppo c’è, è solido, ha un palazzo dietro di sé impressionante per passione e rumore, ma appena si prende l’aereo per andare in trasferta… La mistica biancoverde sembra scomparire davanti ad un attacco che non riesce più ad eseguire i giochi come vorrebbe e ad una difesa che non è sempre celestiale come potrebbe essere. Da qui le 6 sconfitte lontano dal Boston Garden (o TD Banknorth, come preferite) che fanno nascere molte dubbi attorno alla schiacciasassi della regular season: nessuno nella storia della NBA è fino ad ora riuscito a vincere il titolo senza vincere almeno una volta in trasferta, e sebbene la matematica dica il contrario, è determinante a livello mentale portarne via almeno una in trasferta, per poi concludere i giochi a Boston. Ma si può pensare di andare a Detroit e vincerne una, se non ci si è riusciti ad Atlanta ed a Cleveland? Per carità, la post-season di queste due squadre sono state splendide, ma sono e restano JoeJohnson-LeBron-centriche, ovvero abbastanza limitabili in un quarto quarto decisivo, soprattutto se puoi contare sulla difesa di Boston. Adesso non ti devi più preoccupare di limitarne uno, ma ci sono cinque-tiratori-cinque che ti possono punire da ogni punto del campo e possono segnare almeno 20 punti ciascuno ogni sera. E con un sistema di gioco collaudato, vincente e offensivamente molto raffinato. Ora sì che Boston deve portare l’asticella un po’ più in là del solito, in particolare, secondo me, con Kevin Garnett. Sono anni che i suoi detrattori lo accusano di non essere un vincente, di essere uno dei tanti “grandi senza anello”: ora deve prendere per mano i suoi ragazzi e portarli ad espugnare il Palace of Auburn Hills almeno una volta, con un quarto offensivo che faccia gridare letteralmente al miracolo. Se i Celtics riusciranno a fare questo step-up decisivo con il proprio leader carismatico, il titolo è una realtà decisamente alla portata, potendo contare anche su un fortino fino ad ora inespugnabile come il Garden, dove chi vuole vincere la NBA dovrà prima o poi fare i conti con 19.600 celtici indiavolati.
I Detroit Pistons hanno sbolognato in cinque partite la pratica Magic, squadra che non ha ancora le carte giuste per mettere in difficoltà l’armata di coach Saunders. Ora, dopo essersi riposati per una buona settimana, dopo aver studiato con calma il gioco dei Celtics e soprattutto dopo aver recuperato l’acciaccato Chauncey Billups, i Pistons si apprestano a ridare la caccia a quella finale che non torna a Detroit dalla maledetta tripla di Horry nella leggendaria gara-5 delle Finals 2005. E se l’anno scorso proprio a questo turno si compì il suicidio mentale e tecnico dei pistoniani, quest’anno l’attenzione psicologica dovrebbe essere rivolta tutta verso un avversario con cui si è già creata una qual certa rivalità, e che certamente merita rispetto per quanto mostrato in regular season. La crescita di Prince (ormai pronto a ricevere le chiavi tecniche della squadra, quando finirà questo ciclo), la solidità di Hamilton, la leaderiship di Billups, l’impronosticabile tenuta mentale di ‘Sheed, l’entusiasmo e l’esperienza della panchina: su questi aspetti dovranno giocare i Pistons per far volgere dalla propria parte almeno una delle prime due gare a Boston, per mettere alle spalle al muro i Celtics. Ma come al solito, quando si parla di Detroit, non si può non parlare di Rasheed Wallace: che giocatore si presenterà in campo? Il più forte giocatore NBA, come potrebbe chiaramente essere, o il “dark side of the moon”? Resto convinto della mia opinione che ho già espresso in passato: un giocatore come Garnett in questi anni non l’ha mai incontrato. Questo potrebbe tirare fuori il meglio di lui, e farci godere conseguentemente di uno dei più bei spettacoli che questo gioco può offrire, o tirare fuori il peggio, con altrettanto conseguente eliminazione dei Pistons. Non si possono battere i Celtics senza Rasheed, perciò anche questa volta Flip Saunders (e perché no, anche Totò McDyess, che nel 2004 non c’era…) dovranno affidarsi alle lune di Macchia Bianca e sperare che lo scontro lo aggradi e lo stimoli.
Sul piano tattico ci sono un paio di situazioni difensive alle quali i Pistons avranno sicuramente pensato: la serie contro i Cavs ha evidenziato i problemi del jumper di Rajon Rondo, e con una difesa esperta come quella di Detroit ci si può aspettare che il giovane playmaker sarà costantemente sfidato al tiro per far perdere di fluidità l’attacco biancoverde. Inoltre, il Ray Allen di questi playoff non è neanche il lontano parente del cecchino infallibile di Seattle: questo potrebbe togliere dalle spalle di Hamilton molta responsabilità difensiva per poi averlo più fresco in attacco, e siccome nel roster di Boston non c’è un difensore eccezionale nel correre dietro ai blocchi (forse Posey, ma farà fatica) il suo apporto potrebbe essere decisivo. Se nel reparto guardie il vantaggio è tutto per i Pistons, in ala il duello pende verso i Celtics: Paul Pierce è stato semplicemente meraviglioso in gara-7 contro i Cavs e Prince avrà sicuramente le mani molto piene contro di lui: le sue braccia lunghe e la rapidità laterale potrebbero oscurare un po’ la visuale di P-Square, specialmente nei palleggi-arresto-tiro verso destra che tanto hanno fatto male in gara-7, ma se Pierce gioca come sa, per i Pistons c’è un uomo in più da raddoppiare. Sotto canestro è tutta roba per il duopolio Garnett-Wallace: i compagni di reparto dovranno occuparsi di trovare la miglior posizione per farsi trovare soli per due punti facili o per un rimbalzo in attacco (e osservare da posizione privilegiata il più bel duello diretto della NBA!). Per le panchine il discorso si fa complicato: si potrebbe pescare ad ogni partita un protagonista che non ti aspetti, ma si può prevedere che il loro rendimento sarà più decisivo in casa piuttosto che fuori: personalmente, penso che la panchina dei Pistons abbia più possibilità di fare un parziale decisivo anche fuori dal Palace rispetto a quella di Boston, decisamente nulla lontano dal Massachusetts nelle 6 gare perse dai Celtics.
I duelli ruolo per ruolo saranno probabilmente questi:
Billups e Stuckey (e chissà, qualche comparsata di nonno-Hunter per gradire) contro Rondo e Cassell
Hamilton contro Ray Allen, Posey e House
Prince e Hayes contro Paul Pierce e Posey
Wallace contro Garnett (nei momenti decisivi), sennò Wallace dirottato su Perkins o PJ Brown e Maxiell o McDyess su Garnett
Maxiell, McDyess e Ratliff contro Perkins/Pj Brown (oppure, se Saunders decidesse di mantenere l’assetto base a due lunghi anche contro un quintetto biancoverde a 4 piccoli, Maxiell su Posey).
La serie è incerta, decisamente interessante in tutti gli aspetti che ci offrirà nelle prossime due settimane e, sinceramente, ad Est non si può vedere niente di meglio di queste due squadre a confronto. L’impressione è che sia una di quelle serie destinate a concludersi inevitabilmente in 7 gare ancora prima che sia lanciata per aria la prima palla a due: stiamo a vedere se succederà davvero. Io non vedo l’ora, voi?